OPERE D’ARTE, OGGETTI DA COLLEZIONE. ESCLUSIVAMENTE DIGITALI.

Sono opere d’arte e oggetti da collezione che vivono esclusivamente sugli schermi digitali. Sono chiamati comunemente NFT (non-fungible tokens), sfruttano la tecnologia delle criptovalute per generare denaro online (non tassato, per inciso), come fossero oggetti concreti. Sono l’ultima mania di cripto-milionari che si sono stancati di poter comprare tutto nel nostro universo, e vogliono spingersi oltre, staccando i comuni mortali anche nelle altre dimensioni per ora esistenti.

Il primo acquisto effettuato all’asta e pagato in criptovaluta Ethereum ha fornito al compratore solo un file jpeg: per la precisione un file da 69 milioni di dollari, dal titolo The Last 5000 Days. A realizzarlo, mettendo insieme immagini originali e disegni di politici realizzati tra il 2007 e il 2021, è stato Beeple, nome d’arte di Mike Winkelmann, 39enne illustratore del Wisconsin già noto nel mondo della moda per una serie di collaborazioni con brand come Nike e Louis Vuitton. Questo prezzo è al momento il record toccato da oggetti del genere, ma si moltiplicano gli esempi di un trend che sta prendendo piede tra gli eccentrici abitanti del mondo delle criptovalute.

Solo poche settimane fa Jack Dorsey, il fondatore di Twitter, ha venduto all’asta il suo primo e storico Tweet (“Just setting up my twttr”, datato 21 marzo 2006), acquistato per l’equivalente di 2,9 milioni di dollari da Sina Estavi, amministratore delegato della società di blockchain Bridge Oracle. Il ricavato è stato subito devoluto in beneficenza per le popolazioni africane colpite dalla siccità. Il quesito, però, rimane lo stesso: cosa spinge a comprare un’immagine o perfino un tweet, di cui chiunque può fruire sul suo computer, e volendo, anche stampare?

La risposta è la solita; l’esclusività.

L’interesse arriva in larga parte da mecenati a cui piace sostenere il lavoro di artisti indipendenti, acquistandolo. In altri casi si è intrigati dall’idea di acquisire un oggetto digitale che tutti potrebbero copiare e dichiararne la proprietà. – Mike Steib, CEO di Artsy

In quale modo, però, questo trend può interessare la moda?

A fare da pioniere degli NFT in ambiente moda sono ovviamente sneakers e streetwear: lo studio di design RTFKT ha collaborato con il digital artist 18enne Fewocious per la creazione di un paio di scarpe, che però non sono “un pezzo unico”. Per questo motivo, forse, il loro costo è meno spropositato, anche se la vendita di 621 paia di scarpe ha fruttato 3,1 milioni di dollari (con prezzi che, a paio, oscillavano tra i 3 e i 10 mila dollari)… un po’ come le limited edition di Off-white x Nike o di Travis Scott.

Qualcosa di simile si era già sperimentato con la creazione di accessori virtuali per le piattaforme di gaming, come in occasione della collaborazione tra League of Legends Louis Vuitton: in occasione dei campionati mondiali tenutisi a Parigi nel 2019, la maison ha creato una linea di skin da acquistare nello store del gioco e far indossare al proprio personaggio virtuale. Ma questo è senza dubbio un ulteriore passo in avanti.

Oggi tutto può essere venduto come NFT, e le potenzialità  per il mondo della moda sono molteplici. A testare il mercato ha iniziato da poco Gucci: non si parla di puri NFT, ma di una collaborazione con l’azienda tech Wanna Kicks, con la quale il brand ha lanciato negli scorsi giorni delle sneakers realizzate da Alessandro Michele esclusivamente virtuali al costo di 12 dollari, le Gucci Virtual 25. Le sneakers di Gucci, riprodotte per 600 volte, risultano uguali nell’aspetto (digitale) ma hanno ognuna un numero diverso, come capita realmente con le sneakers limited edition numerate.

Un’altra possibile applicazione della tecnologia Blockchain (e degli NFT di conseguenza) potrebbe consentire ai brand di controllare anche il mercato secondario, sia quello del resell che quello più problematico dei falsi. Certo, si tratta sempre di prospettive future, che magari non diventeranno mai concrete (perdonate il gioco di parole). Le difficoltà sono molteplici: chi acquista prodotti di lusso, in genere non fa parte di una categoria demografica a suo agio con la digitalizzazione estrema – eccezione fatta per una Generazione Z ricca situata principalmente nel mercato asiatico; dall’altro lato molte maison non sono ancora pronte, a livello digitale, per garantire a prodotti virtuali il livello di qualità e attenzione ai dettagli che possono garantire negli oggetti fisici.

C’è poi il problema della sostenibilità energetica di operazioni che coinvolgono la tecnologia blockchain: in un momento in cui la moda insegue la chimera dell’impatto zero sul pianeta, è difficile non notare che, secondo uno studio dell’Università di Cambridge, l’utilizzo della criptovaluta più conosciuta richiede annualmente più elettricità dell’intera Argentina. Quanta energia consumerebbero sneakers digitali costruite e pagate con quella tecnologia?

Per ora, quello degli NFT appare il migliore futuro possibile solo ai milionari della Silicon Valley.