Negli anni della prima release delle Air Grill, Nike stava lanciando l’assalto definitivo al mondo del basket anche con i prodotti non-Jordan, e per il 1997 aveva pronti diversi modelli su cui puntava molto: Air Bakin, Air Grill, Air Melt e Air B-Que. Le prime, tanto per fare un esempio, erano indossate da Tim Hardaway, leggendario playmaker dei Golden State Warriors prima e dei Miami Heat poi, e inventore della celeberrima finta che prevedeva un palleggio sotto le gambe per disorientare l’avversario, la “Utep two-step”. Un mito di quegli anni, perfetto per lanciare una nuova linea di prodotto.
Purtroppo però, tutti e tre i modelli rimasero invischiati in una controversia culturale che con la pallacanestro aveva a che fare poco o niente: tutta colpa di un piccolo logo capace di creare un notevole danno all’immagine Nike. Infatti la nuova dicitura “Air” fiammeggiante che i designer di Beaverton avevano applicato sul tallone di Bakin, Grill, Melt e B-Que fu accusata da alcune associazioni islamiche statunitensi di somigliare molto – troppo – alla trascrizione in arabo del nome di Allah: per la prima volta nella sua storia, lo Swoosh fu costretto a ritirare dal mercato diverse sneakers per ragioni di opportunità, per così dire, “politica”.
Nike ritirò in una sola stagione 38.000 paia di scarpe da basket in tutto il mondo e pagò 50.000 dollari per costruire un parco giochi in una scuola elementare islamica negli Stati Uniti, oltre a presentare le scuse dopo l’errore. E tutto questo solo perché quel logo che doveva assomigliare a un fuoco, era stato progettato senza tenere conto di quanto poteva andare, come dire… perso nella traduzione.